La Fine di Domenico Di Sciascio

10-11-2022 10:41 -

10 Novembre 1866
Uno dei briganti più famosi in quel drammatico decennio post-unitario fu sicura­mente Domenico Di Sciascio di Guardiagrele. Ex soldato borbonico, non accettò il nuovo governo e dopo un primo momento di attesa abbandonò nel 1861 la vita dei campi, che lo aspettava, per unirsi a coloro che reagivano allo stato delle cose. Per 5 anni diede scacco alle truppe regolari del regio esercito facendo parte prima della Banda Maiella e successivamente operò in modo autonomo nella Maiella Orientale spostandosi in Inverno nell’agro romano con il fidato Nicola Marino di Roccamorice. In questo lungo periodo fu braccato dai soldati ma sempre, egli, riuscì a fuggire. Razzie, omicidi, furti, scontri armati e fughe improvvise caratterizzarono la sua epopea. Poi arrivò il 1866. Dal mese di giugno al mese di agosto, Di Sciascio operò insieme al brigante Cannone e Marino in continui attacchi e grassazioni spostandosi in vari settori della Maiella, unendosi con le predette bande, in modo repentino. Le sue azioni si fecero sentire soprattutto nei tenimenti di Lama dei Peligni, Guardiagrele, Fara San Martino, Palena e Pizzoferrato, ma con affondi anche nei territori di Tocco Casauria e Caramanico.

Pareva che oramai nessuno riuscisse a fermarli. A settembre, però, diversi reggimenti di soldati tornarono dalla guerra in Veneto ed era stato loro chiesto di fermare le bande di briganti operanti sulla Maiella. Di Sciascio non aveva più scampo. Agli inizi del mese furono arrestati alcuni membri della sua famiglia mentre vi furono diverse perlustrazioni nei profondi valloni della Maiella Orientale per stanarlo. La banda di Domenico iniziò a trovarsi seriamente in difficoltà. Gli scontri con i soldati venuti a cercarlo iniziavano a fiaccare il morale dei suoi componenti. Essi erano braccati, inseguiti, sfiancati dalle continue lotte contro guardie, stenti ed intemperie. La banda del Di Sciascio iniziò a ridimensionarsi. Molti compagni iniziavano a costituirsi in previsione di una terribile fine. Altri venivano uccisi negli scontri. Infine comparvero chiari segni di nervosismo tra i membri della banda. Anche i suoi fedelissimi erano stanchi di questa vita e decisero di consegnarsi alle autorità.

Domenico, naturalmente, non era disposto ad arrendersi e non voleva neppure che lo facessero gli altri compagni. Domenico Colaneri, però, non la pensava come lui. Questi era un contadino di Castel Frentano che dal mese di giugno, per sfuggire alla leva, si era associato alla banda di Cannone e poi a quella del Di Sciascio. Tuttavia, dopo le dure prove subite, specie nel mese di settembre, iniziava a pensare che era il tempo di lasciare perdere quella vita. La sua scelta veniva condivisa dal suo compaesano Camillo Di Donato il quale, come lui, era stanco di sentirsi brigante rischiando ogni giorno di essere ammazzato dai soldati. Così arrivò il momento buono per andarsene.

Sabato 10 novembre 1866 i due si trovavano su monte Cavallo insieme a Domenico Di Sciasio, Nicola Marino e Carmine d’Angelo. Tuttavia, poco dopo, gli ultimi due si avviarono verso Roccamorice, mentre Di Sciascio rimase con il Colaneri ed il Di Donato, intenzionato a scendere verso la pianura. I due di Castel Frentano sapevano che se fossero dovuti fuggire quello sarebbe stato il momento buono, essendo rimasti in tre. Sapevano altrettanto bene che il Di Sciascio non avrebbe accettato che i due si consegnassero e avrebbe preferito ammazzarli piuttosto che vederli scappare. Il Colaneri ed il suo compaesano, quindi, seguirono il capo durante il cammino senza dire nulla. Poi, giunto nei pressi della grotta della Rifora (probabilmente oggi grotta del Cavone), in tenimento di Pennapiedimonte ed in località Solagna, Colaneri puntò il fucile alla testa di Domenico Di Sciascio, mentre era girato di spalle e gli sparò. Il brigante, che aveva tenuto testa a soldati e guardie dal 1861, all’età di 36 anni dovette fermarsi stramazzato a terra. Il suo corpo fu rivoltato, gli presero tutto ciò che di soldi o preziosi aveva con sé e lo lasciarono lì, a braccia aperte, con lo schioppo vicino ed il volto verso il cielo. Poi, il giorno dopo, i due si consegnarono alle forze dell’ordine di Castel Frentano. Il corpo del Di Sciascio sarà trasportato dalle autorità a Pennapiedimonte per il riconoscimento. Colaneri riceverà le 4.000 lire di taglia che le forze dell’ordine avevano messo nel ’65 come premio per la cattura del brigante di Guardiagrele. Il premio ricevuto, però, non lo salverà dalla galera a cui sarà condannato ugualmente. Nel 1872 riuscirà a fuggire dal carcere di Pescara dove era stato recluso insieme ad altri briganti. Tutti saranno ripresi o uccisi. Per questa fuga sarà condannato a 30 anni di carcere.

A cura di Nunzio Mezzanotte

Iniziativa promossa con i volontari S.C.U. – Ilaria Di Prinzio, Valentina Di Prinzio, Sebastian Giovannucci
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