29 Marzo 2024
Un Parco di Montagna affacciato sul Mare

NUNZIO TAMBURRINI: IL CAPITANO DELLA TRUPPA LIBERTÀ

Nunziato Antonio Tamburrini, detto Nunzio, nasce a Roccaraso il 24 marzo 1828. Era pastore e partecipò ai moti filo borbonici scoppiati a Roccaraso nell’ottobre 1860. Per non essere arrestato, dopo che fu ristabilito l’ordine, decise di darsi alla macchia. All’epoca dei fatti risulta già ammogliato e con figli. Nel 1861 iniziò a farsi conoscere per diverse azioni brigantesche sulla Piana delle Cinque Miglia. Qui non agiva da solo, ma insieme ai fidati Croce di Tola e Ermenegildo Bucci.

Per la sua fama era già conosciuto dalle autorità filo borboniche presenti nello Stato Pontificio e anche controllato dagli agenti segreti piemontesi. Nel 1862

Tamburrini con Croce ed Ermenegildo, sotto le dipendenze di Luigi Chiavone, la sera del 23 maggio attaccò e si impossessò di una diligenza con vestiti ed armi della guardia nazionale. A giugno prese parte alla battaglia di Rivisondoli dove, però, l’attacco fu respinto e in conseguenza iniziarono ad incrinarsi i rapporti tra Nunzio e Chiavone. Dopo l’allontanamento da quest’ultimo Tamburrini rimase padrone incontrastato degli altopiani. Egli si distingueva inviando lettere in cui chiedeva vestiti e cibarie varie, pena attacco agli armenti. Nonostante in località Portella fosse stato istituito un block hause con 10 unità mobili, tra il 1862 e il 1863 rinforzato ora da Primiano, ora da Di Tola, ora dal Bucci e dal Giancola agì indisturbato.

Le sue azioni erano veloci e determinate a punire soprattutto quelli che non assecondavano le sue richieste. Ma dai biglietti di ricatto ciò che oggi ci incuriosisce è la firma. «Tamburrini, capitano della truppa libertà». Era a capo di una truppa armata e ben organizzata.

Uno degli episodi di brigantaggio di cui fu protagonista avvenne ai primi di giugno del 1863, quando inviò un biglietto di ricatto ai tre fratelli Di Loreto di Barrea. I fratelli decisero di non cedere, ma anzi avvertita la guardia nazionale, organizzarono un’imboscata presso il Lago Vivo. Nei pressi vi erano due capanne di pastori. In una vi erano 6 guardie nazionali ed in un’altra 5 pastori anch’essi armati. Appena i briganti giunsero alla portata dei fucili, i soldati iniziarono a sparare. Nunzio ordinò alla banda di dividersi in due gruppi ed ordinò ad uno di salire sulle rocce a cui era addossata la capanna. Dalla sommità gettarono grossi massi che sfondarono il tetto. Poi, le sei guardie rimaste allo scoperto furono bersagliate ed uccise. I pastori armati, tra cui Emidio Di Loreto, vennero circondati e quattro furono fucilati all’istante, mentre il quinto rimase in vita, affinché potesse raccontare a tutti cosa



accadeva a chi tradiva il Tamburrini. Dopo questo episodio fu messa su di lui una taglia di 4.500 Lire, ma continuerà a muoversi per lungo tempo nell’Alto Sangro e sui Monti Pizzi anche nella primavera/estate del 1864. Ben presto, però, anche lui capì che Francesco II non sarebbe tornato al potere e per questo decise di partire per le Americhe. Ma nel gennaio 1865 fu riconosciuto e catturato nel porto di Civitavecchia. Fu condannato a morte dalla Corte d’Assise de L’Aquila l’11 settembre 1865, ma il 21 gennaio 1869 la pena fu mutata ai lavori forzati a vita. Morì il 23 giugno 1874 presso il forte penitenziario di porto Longone sull’isola d’Elba.
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