20 Maggio 2024
Un Parco di Montagna affacciato sul Mare

Il museo Geopaleontologico di Palena

Progetto editoriale con la collaborazione del fotografo Bruno D'Amicis
Quando ci viene raccontato che le montagne dell'Appennino centrale si sono formate nel momento in cui, a partire da circa 6 milioni di anni fa, le rocce del fondo di un mare, in procinto di definirsi come Mediterraneo, hanno iniziato ad emergere dalle acque, non è una cosa tanto semplice da immaginare. Mari tropicali in cui si accumulano sedimenti e le parti minerali di organismi viventi a tonnellate, la spinta delle diverse placche continentali che forzano verso l'alto questi strati, l'azione degli agenti atmosferici e dei cambiamenti tuttora in atto. Le austere cime calcaree ricoperte da boschi, che possiamo ammirare oggi, sono il frutto della combinazione di molti eventi geologici differenti, scanditi da intervalli di tempo lunghissimi, la cui profondità a volte si rende impossibile da concepire.

Se la geologia non è il nostro forte e se orogenesi, carsismo, tettonica non rientrano nel nostro vocabolario quotidiano, allora la cosa migliore da fare per provare a raccapezzarci qualcosa è una visita al Museo Geopaleontologico dell'Alto Aventino a Palena.

Il Museo, ideato dai Proff. Silvano Agostini, Maria Adelaide Rossi e da un vasto team di specialisti, è stato aperto al pubblico nel 2001 all'interno dello splendido Castello Ducale. Una piccola rocca fortificata che domina il centro storico del Paese e dalla cui loggetta si può ammirare una vista privilegiata sulla Maiella orientale e la Valle dell'Aventino.
Momenti di visita al Museo Geopaleontologico di Palena con la guida di uno dei suoi ideatori, il Prof. Silvano Agostini, e di numerosi pannelli informativi al suo interno.
All'ingresso del Museo campeggia una gigantografia del ritratto di un uomo dallo sguardo dolce e sereno, che tiene nelle mani e con visibile orgoglio un fossile di pesce meraviglioso. Ai piedi della fotografia, sono stati disposti gli umili strumenti del geologo. L'uomo della fotografia è il genius loci del Museo, Erminio Di Carlo, instancabile paleontologo autodidatta di gran talento e generosità, precocemente scomparso nel 2011 e a cui si devono molti dei reperti più belli ed importanti della collezione, nonché l'idea di istituire un museo geopaleontologico a Palena.

La prima sala del Museo è stata definita della “conoscenza” da parte degli autori.

Chiari pannelli e reperti mozzafiato forniscono al visitatore tutte le nozioni fondamentali per iniziare a fare amicizia con la geologia e la paleontologia. È un'ampia e dettagliata introduzione, dove già si possono ammirare alcuni reperti d'eccezione. Su tutti, in fondo alla sala e davanti alla grande vetrata che si apre sulla valle, i resti di ippopotami ed elefanti. Qui lo sguardo del visitatore è immediatamente attratto dalla zanna di quasi tre metri di lunghezza di un elefante meridionale, Mammuthus meridionalis, risalente a circa 1 milione di anni fa, rinvenuto nei pressi di Chieti negli anni '70. Pensare che un tempo, anche in Italia centro-meridionale, vivessero dei pachidermi che arrivavano a quattro metri d'altezza.
A fianco si apre uno spazio didattico, con una ludoteca, strumenti e strutture per stimolare e facilitare la comprensione anche dei visitatori più giovani. Ai bimbi è reso possibile “scavare” in dei grandi contenitori alla ricerca di reperti nascosti e di osservare i fossili al microscopio: il divertimento è garantito. Da qui si accede anche ad un laboratorio, dove vengono studiati e preparati i reperti in attesa di catalogazione.

Dalla parte opposta della sala principale, invece, si accede a quelle dedicate al territorio della Maiella e dell'Alto Aventino e qui davvero cominciano le sorprese.

Tante, troppe per essere elencate tutte qui. Partiamo dalla sala di Torricella Peligna, dove qualche decina di anni fa, sono stati rinvenuti diversi fossili di pesci dall'incredibile stato di conservazione. Nel Miocene intermedio, ovvero circa 13 milioni di anni fa, ad oriente della scarpata oceanica della Maiella, acque molto profonde e torbide erano popolate da una fauna abissale molto diversificata. Oggi, i discendenti fossili di questi animali troneggiano nelle teche di questa sala con le loro forme bizzarre, i grandi occhi e denti acuminati. Ci sono barracuda, pesci vipera, pesci lanterna e molti altri. Tra questi, anche animali finora ignoti alla scienza e scoperti per la prima volta proprio a Torricella e dai nomi scientifici tanto bizzarri quanto suggestivi. Come il pesce dragone, Abruzzoichthys erminioi, dedicato al suo scopritore Erminio Di Carlo, Fanteichthys torricellensis, dedicato al figlio illustre di Torricella Peligna, John Fante, e Ranzania zappai, intitolata al mitico Frank Zappa. A fianco a tutti questi pesci dai nomi altisonanti, commuove quasi osservare, con un'opportuna lente di ingrandimento, il minuscolo pesce accetta, Discosternon federicae, ritrovato nei gessi di Gessopalena. Con un pizzico di fantasia, questo fossile in miniatura ma di gran dettaglio, ricorda la caricatura di un pesciolino spaventato che sembra quasi voler fuggire via dalla barricata di denti aguzzi dei suoi altri “colleghi” fossili nella teca.
Alcuni esempi dei tanti straordinari fossili di pesci abissali rinvenuti nei depositi della Valle dell'Aventino.

Muovendosi nelle sale dedicate a Palena, e cercando di non fare indigestione con la cornucopia di splendidi reperti rinvenuti a Capo di Fiume, è d'obbligo una sosta alla teca che conserva il fiore all'occhiello della collezione. Il Prolagus cfr. apricenus, piccolo lagomorfo simile al pika che circa 6-7 milioni di anni fa popolava il dolce paesaggio di allora, come suggerisce la tavola realizzata dall'artista. Non è solo la rarità dell'esemplare, altrove in Italia molto localizzato, a renderlo particolarmente prezioso. Quello che tocca nel profondo è lo stato di conservazione di questo fossile, rinvenuto ancora una volta da Erminio Di Carlo: del prolago si riescono davvero a contare le singole ossa e un alone scuro che lo circonda rivela persino l'orma lasciata dalla sua pelliccia. Ciò dona al reperto una grande immediatezza. Del fossile mancano le zampe, probabilmente perché il corpo dell'animale venne trasportato a lungo dall'acqua prima di depositarsi sul fondo.

Ma la suggestione di trovarsi al cospetto di un animale di oltre 6 milioni di anni fa, eppure così simile alla fauna attuale, suscita quel leggero senso di umiltà, che forse permette di “sentire” tutta la profondità della storia.

Prima di lasciare il Museo, vale la pena soffermarsi sull'ultimo pannello della collezione: l'immagine di Gaia, il nostro caro e piccolo Pianeta Terra, così come fu vista per la prima volta dallo spazio nel 1969, sovrasta un testo che merita la lettura. È la carta dei diritti della Terra, sottoscritta da decine di scienziati oltre trent'anni fa, in cui si sottolinea l'importanza della geologia per comprendere il passato del Pianeta e formare allo stesso tempo le coscienze e le menti del futuro. Solo sentendoci abitanti di un sistema complesso e, in qualche modo, figli di una stessa madre, noi esseri umani potremo trovare soluzioni alle grandi sfide che ci pone il presente e, ancor di più il futuro. Questo è, in fondo, il dono dei fossili di Palena, questa la ricchezza del Geoparco Maiella. Riuscendo a far proprio questo insegnamento, allora si uscirà dalle sale di questo bel Museo sicuramente più ricchi e consapevoli.

Porrara e Capo di Fiume

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