23 Ottobre 2024

La Maiella Orientale e l'Uomo

Progetto editoriale con la collaborazione del fotografo Bruno D'Amicis
L'imponente massiccio della Majella è una presenza troppo ingombrante nel panorama d'Abruzzo, per non ricoprire una posizione di rilievo nell'immaginario di quelle popolazioni, che da millenni si avvicendano ai suoi piedi.

Con la sua mole enorme, solo all'apparenza da placido leviatano, la Montagna Madre è da sempre stata al centro dei pensieri, dei culti e dei racconti degli uomini.

Per quanto generosa di acque e pascoli, il suo clima mutevole, l'aspetto aspro e severo delle rave, delle forre e dei valloni, la rendono una madre severa, amata sì, ma soprattutto, temuta. I suoi capricci, le sue forme complesse e bizzarre, gli eventi disastrosi che poteva scatenare hanno ovviamente indotto un timore sacro, che, nel tempo, ha fornito alimento per miti e credenze.
Montagna degna di esseri sovrumani, come San Martino, che avrebbe aperto le omonime Gole a spallate o, addirittura, Sansone, cui si dovrebbe l'origine del fiume Aventino, nato dalla sua orina, o la Morgia, enorme affioramento roccioso che sarebbe stato scagliato dallo stesso gigante per gioco. Mentre una strana forma impressa nella roccia affiorante accanto alla Madonna del Roseto di Torricella Peligna, sarebbe l'orma stessa del piede di Sansone, testimonianza indelebile del suo epico passaggio.
Antiche incisioni sulla cosiddetta Pietra delle Croci di Lettopalena
Folklore e miti a parte, la Maiella conserva chiare testimonianze risalenti alla Preistoria. Migliaia di anni fa, sfruttando grotte o semplici pareti aggettanti, l'uomo ha iniziato di espugnare la montagna, per stabilirvi le proprie dimore temporanee. E così, nelle stesse cavità utilizzate sino a pochi anni fa dai pastori della zona, si trovano numerose pitture rupestri, tanto semplici quanto enigmatiche, dalle forme geometriche o antropomorfe realizzate in ocra o carbone. È il caso della Grotta Caprara nel comune di Civitella Messer Raimondo, in cui due splendide figure stilizzate a carboncino risalenti al Neolitico – Età dei metalli sono ancora visibili in un angolo della cavità, mentre al suolo persistono strati di letame e cresce una folta vegetazione nitrofila dovuta allo stazionamento del bestiame fino a tempi più recenti. Vero e proprio museo en plein air, la Maiella colpisce per questa commistione tra antico e presente, sacro e profano, che è persistito nei secoli senza alcuna soluzione di continuità. D'altronde questo grande massiccio carbonatico, così ricco di cavità e anfratti, come può aver rappresentato un rifugio sicuro per i nostri antenati preistorici, o per i santi eremiti, così ha fatto per pastori, briganti e, non ultime, la popolazione in fuga dagli orrori della Seconda Guerra Mondiale.
Le pitture rupestri nella Grotta Caprara

Tra le pieghe della montagna, quindi, la geologia si è fatta dapprima storia, e poi architettura.

Un'architettura timida ed effimera, essenziale quanto funzionale, che, mimetizzandosi con il calcare, sembra volersi nascondere, quasi a non risvegliare il gigante addormentato. E così la parete è diventata grotta, la grotta si è fatta capanna e la capanna tempio. Forse è proprio dagli umili ricoveri dei pastori, i veri conoscitori della Maiella, che sono nati i tanti piccoli eremi e santuari rupestri che rendono giustamente celebre questa montagna. Come quello assolutamente sorprendente di San Michele Arcangelo, in territorio di Lama dei Peligni, o quello di Sant'Angelo a Palombaro, nel quale i resti di un edificio religioso del XI secolo oggi si fondono perfettamente, per forme e colori, con le volte della grotta naturale, divenendo un tutt'uno con il calcare grigio chiaro. Luoghi intrisi di spiritualità e bellezza, che, indipendentemente dalla fede o meno di chi s'incammini alla loro visita, offrono sicuramente panorami e sensazioni fuori dal comune.

Non è difficile, in effetti, percepire con forza il genius loci anche di molti altri luoghi del territorio della Maiella orientale o della Valle dell'Aventino, in senso più ampio.

Non sorprende il fatto, ad esempio, che le antiche popolazioni sannite, le quali popolavano queste contrade, scegliessero alcuni dei punti più belli, panoramici e strategici per fondare i loro centri urbani. È il caso di Cluviae, che sorgeva dove oggi si trova il Piano Laroma nei pressi di Casoli ma di cui non rimangono che il ricordo e pochi resti. Ovviamente, parliamo anche della splendida Juvanum, secondo sito archeologico per importanza in Abruzzo dopo Alba Fucens. Vale la pena alzarsi presto e cercare di arrivare ai resti di questa antica città, oggi nei pressi di Montenerodomo, prima del sorgere del sole, magari in un giorno di primavera quando la Maiella è ancora coperta di neve. La suggestione di ammirare la grande montagna illuminarsi e, poi, colorarsi di rosa e d'oro dietro le colonne e le imponenti rovine dell'acropoli ripaga sicuramente di tutti gli sforzi. Gli scavi archeologici hanno fatto tornare alla luce le basi di un tempio, un piccolo teatro, resti di botteghe ed edifici e strade lastricate. Fondata dai Sanniti Carricini in posizione centrale rispetto alle vie principali di comunicazione del tempo, ovvero le valli fluviali dell'Aventino e del Sangro e i valichi di montagna, come il Guado di Coccia, a partire dal III secolo a.C. Juvanum è divenuta un'importante città romana, da cui era possibile tenere sotto controllo un territorio molto vasto e ricco di ulteriori insediamenti, presso cui si esercitava lo sfruttamento agricolo dell'area.
I resti dell'eremo di S. Martino in Valle nelle omonime gole, nei pressi di Fara S. Martino.
Con il Medioevo, come già visto, queste terre sono diventate teatro delle gesta di eremiti e anacoreti, che ricercavano la solitudine e la concentrazione della montagna, sui quali spicca ovviamente il nome di Pietro da Morrone, che nel 1235 si stabilì in una grotta nei pressi dell'attuale Madonna dell'Altare di Palena. Sulla Maiella però non esistevano solo eremi: si ritrovano anche due monasteri importanti, quello di San Martino in Valle nelle omonime gole e quello di Santa Maria nella Valle dell'Avello, nei pressi di Pennapiedimonte, entrambi “nascosti” nel cuore della montagna, localizzati come erano in due delle sue valli più profonde e selvagge. Oggi è ancora possibile ammirare i resti del Monastero di San Martino in Valle, situato in posizione assolutamente spettacolare alla base di una delle pareti principali della prima “sala” del Vallone di Santo Spirito o di Fara San Martino, di cui sembrano, ancora una volta, parte integrante ed indissolubile.

I secoli che seguirono videro le alterne vicende legate alla peste, alle carestie e al progressivo spopolamento di alcune contrade dell'area, ma anche la nascita di una fiorente economia legata alla lavorazione della lana. Gualchiere ed opifici sorsero numerose lungo le acque dell'Aventino, permettendo di trasformarne la corrente in energia meccanica, e, durante la fine del Settecento, negli anni dell'epopea della transumanza (qui passava anche un Regio Tratturo), permisero a quest'area di divenire uno dei principali distretti industriali del Regno di Napoli.

Questo veloce excursus nella storia della Maiella orientale non può non citare i tristi fatti della Seconda Guerra Mondiale. Proprio nella Valle dell'Aventino passava infatti la famigerata Linea Gustav e nei durissimi mesi degli anni 1943-44, vi si svolsero alcuni degli episodi più atroci del Conflitto. Ma da questi sorse anche la voglia di liberazione e qui furono scritte alcune delle pagine più belle della storia della Resistenza, con le azioni della Brigata Maiella, i cui protagonisti riuscirono ad avere vantaggio sul nemico anche grazie all'accoglienza della loro montagna.

Arriva così sino ad oggi questa lunga e straordinaria storia di progressivo adattamento e avvicinamento dell'uomo alla montagna, che gli ha permesso di trarre profitto da un territorio solo all'apparenza sterile e ostile, ma senza, in fondo, alterarne pesantemente i connotati. Una storia bella, che si conclude, solo su queste pagine, con la fondazione del Parco Nazionale della Maiella e il suo riconoscimento ad UNESCO Geopark. In fondo, il meritato traguardo di millenni di coesistenza e coevoluzione tra la geologia di un territorio e la cultura delle sue genti.

La Paleofrana di Lettopalena

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