02 Novembre 2024
Un Parco di Montagna affacciato sul Mare

Valle di Taranta, Grotte del Cavallone

Progetto editoriale con la collaborazione del fotografo Bruno D'Amicis
In Appennino ci sono tantissime valli. Alcune strette strette e buie, altre ampie, luminose, solcate da fiumi e limpidi torrenti. Gole, forre, canyon, depressioni, valli sospese, valli fluviali a “V” e valli glaciali a “U”... le forme e le definizioni sono tante quanto le valli stesse, ma sulla Maiella ce n'è una che non assomiglia a nessun'altra.

La valle di Taranta è una profonda frattura nel fianco della montagna, che sembra quasi una rozza ferita dai bordi irregolari inferta nel tessuto del paesaggio.

Non è un caso che da queste parti sia conosciuta come “la Tagliata”. Questa valle si è originata a seguito della trazione e della distensione del massiccio che lentamente scivola, trascinato dalla forza di gravità verso settentrione e la valle del Pescara. E come un foglio di carta, a Taranta, la montagna si è strappata, con i margini del taglio che sembrano ancora sospesi nel momento della rottura. La Maiella, si sa, è terra di santi e giganti, teatro delle gesta di San Martino e di quelle del gigantesco Sansone. Ma, pur senza scomodare il mito o la religione, basti leggere della sua tormentata storia geologica per capire che ci troviamo in un territorio, dove la natura ha dato spesso prova della sua forza immane e distruttiva. Per comprendere al meglio la valle e ammirarla in tutta la sua grandezza, vale la pena osservarla da lontano, magari arrivando all'alba, in un punto scoperto lungo la strada nei pressi dei paesini di Montenerodomo, Fallascoso o, ancor meglio, dalle rovine dell'antica città di Iuvanum.

Da qui, mentre i primi raggi del sole illuminano le rocce e le ombre della notte piano piano svaniscono, lo sguardo può liberarsi del peso della gravità e risalire senza fatica la lunga morena del fondovalle, scorrere le impressionanti pareti di roccia e soffermarsi sulle cime che ne adornano la testata.

Lo Stincone nell'alta Valle di Taranta e alcuni scorci delle ripide pareti.
La valle si sviluppa per circa 7 chilometri, e dai 700 metri di altitudine arriva a lambire la vetta più alta del Massiccio, il Monte Amaro. Questa imponente fenditura presenta numerosissimi fenomeni carsici, ed è dominata, al suo vertice, dalla sagoma insolita dell'Altare dello Stincone: un torrione roccioso che arriva a 2.426 metri di altitudine, piazzato lì nel mezzo dell'alta valle a dominare prepotentemente l'orizzonte.

Più che una vetta appenninica, lo Stincone ricorda le montagne erose dal vento nei deserti color ocra del Nord America, scenografia di innumerevoli film western e hollywoodiani inseguimenti tra nativi e cowboy.

Se è lo Stincone a attirare lo sguardo nell'alta valle, sono sicuramente le pareti a strapiombo l'elemento più evidente della sua parte più bassa. Due imponente muraglie, che, per una bizzarria geologica, si restringono al loro vertice, quasi a volersi richiudere, accompagnando i fianchi della valle in un susseguirsi di forme, colori e disegni sempre differenti. Da queste parti, infatti, il calcare non assume solamente le classiche colorazioni bianche, rosa o color crema, ma si tinge anche del rosso dei licheni, del marrone delle inclusioni e delle lingue nere o grigie del bitume che affiora dal ventre della terra per colare verso il basso.
La rara Campanula del Cavolini cresce abbarbicata sulle pareti di roccia.

Non è facile vivere in perenne lotta con la forza gravità. Solo le piante più caparbie riescono a farlo.

Ma per arrivare alla dimensione di cespuglio o di alberello stentato c'è bisogno di mettere radici nelle cenge erbose e nei punti dove l'inclinazione delle pareti lascia un attimo di respiro. Nel suo sviluppo verticale, la valle attraversa vari orizzonti di vegetazione. E, da un ambiente prettamente mediterraneo, caratterizzato da una boscaglia extrazonale di lecci che crescono contorti come bonsai, si arriva rapidamente alla flora più propriamente legata al clima montano. Qui, in estate, la roccia si colora del lilla della Campanula del Cavolini e del bianco delle sassifraghe, mentre la rara Aquilegia della Maiella si nasconde sulle cenge e le cavità più ombrose. E, quando nel fondovalle regna l'afa, alla testata della valle fioriscono le stelle alpine.
Anche per gli animali non è affatto scontato sopravvivere da queste parti. Sono pochi i vertebrati terrestri, oltre alle piccole lucertole e ai camosci, ovviamente, in grado di affrontare i rischi di un mondo verticale in perenne cambiamento. Questo è il regno degli acrobati dell'aria: uccelli, pipistrelli e insetti vivono nella Valle di Taranta con moltissime specie diverse. Qui, al vento, fanno eco i richiami sgraziati dei gracchi alpini o del falco pellegrino. Qui, stormi di rondini montane fanno da ancelle all'aquila reale.
Veduta verso est dell'alta Valle di Taranta con l'ingresso delle Grotte del Cavallone.
Nella Valle di Taranta, ovviamente non mancano anfratti e cavità e, in corrispondenza della sua metà, si trova l'accesso alle famose Grotte del Cavallone, o della Figlia di Iorio. L'ingresso si apre nel bel mezzo della parete, sospeso nel vuoto in una posizione impressionante. Un tempo vi si accedeva scalando la parete di roccia, ora una comoda scalinata porta sulla terrazza di accesso. Sembra il nido di un enorme animale preistorico o l'antro per accedere ad un altro mondo. E, in effetti, ciò che si rivela all'interno di queste grotte, che si inoltrano per quasi due chilometri nel ventre della montagna, non sembra appartenere a questo Pianeta. Combinazioni di numerosissime stalattiti, stalagmiti e altre concrezioni creano trine e merletti, colonne e meringhe di roccia, pozze e laghetti che contribuiscono a rendere le grotte un luogo unico e fiabesco, dal potere ancestrale. Non a caso, le grotte furono scelte dal pittore Paolo Michetti, per realizzare la scenografia della tragedia dannunziana della Figlia di Jorio, nel 1903, rendendole celeberrime. Ma la frequentazione di queste grotte era iniziata molto tempo prima. Se le prime testimonianze certe di visite alle grotte risalgono agli inizi del XVIII secolo, è dalla fine del 1800, con la nascita della Società delle Grotte del Cavallone e del Bove, che prese definitivamente il via una loro fruizione turistica. Prima della realizzazione dell'attuale cestovia, oggi aperta nei mesi estivi e autunnali, alle grotte si accedeva solamente risalendo la valle a piedi e, quindi, scalando con corde e rudimentali scale la parete sottostante l'ingresso. Celebri guide locali accompagnavano i coraggiosi visitatori, i quali, a fine escursione, venivano riportati a valle facendoli scivolare lungo i ghiaioni su apposite tregge di legno. Testimonianze di un'antica passione per una valle, le cui meraviglie ancora oggi non smettono di stupire.

Il prodotto è stato inserito nel carrello

continua lo shopping
vai alla cassa
close
Richiedi il prodotto
Inserisci il tuo indirizzo E-mail per essere avvisato quando il prodotto tornerà disponibile.



Richiesta disponibilità inviata
Richiesta disponibilità non inviata
close
ACCEDI

visibility
NON SONO REGISTRATO

crea account
invia a un amico
icona per chiudere
Attenzione!
Non puoi effettuare più di 10 invii al giorno.
(Testo completo) obbligatorio
generic image refresh

cookie